Cinema e Videogiochi: un matrimonio complicato

in L'angolo del Nerd di
warcraft

Il discorso che si andrà ad affrontare è vasto, spinoso e senza una risposta univoca.

Il cinema, come sappiamo, saccheggia a piene mani da altre forme d’arte, per compensare i momenti morti degli sceneggiatori che non riescono a tirare fuori delle storie interessanti o originali: romanzi, fumetti, opere teatrali, canzoni (sì, si trae ispirazione per un film anche partendo da un brano musicale). Quindi, per una maggiore portata narrativa, perché non toccare anche un settore che, specialmente negli ultimi cinque anni, si è ritagliato il suo spazio nella cultura pop?

mario-brosCosì, Hollywood ha iniziato a bussare alle porte delle maggiori aziende programmatrici di videogiochi. Oltre ai film drammatici, alle commedie e ai cinecomics, oggi c’è anche il cinema tratto da un videogame. Forse non tutti ricorderanno il primo vero film (parlando in termini live action, cioè film con attori in carne e ossa) tratto da un videogioco: quale poteva essere se non Super Mario Bros.? Interpretato da Bob Hoskins e da Dennis Hopper, fu un disastro su tutta la linea. Ma perché? Nel 1993 l’industria e la critica cinematografica non erano ancora pronte per un prodotto del genere. Le reazioni, come scritto sopra, furono molto dure, pochissime quelle buone, se non nulle. Gli incassi miseri, si riuscì a coprire i costi di produzione solamente grazie alle edizioni home video.

Anche oggi, nel 2016, il rapporto tra cinema e videogames non è assolutamente dei migliori.

Affronteremo questo discorso partendo da diversi punti vista, per dare una lettura più ampia di questo fenomeno, attraverso considerazioni assolutamente opinabili.

Le regole

Uno dei motivi che rende complicato questo rapporto sono le regole con cui queste due forme d’arte (il videogioco può essere considerato una forma d’arte? Lo vedremo dopo) cercano di incontrarsi a metà strada.

Il cinema ha delle regole con cui viene classificato, considerato, criticato e visto. Non rispettarle comporta quasi sempre una valutazione negativa del prodotto. Rarissime volte, però, c’è chi riesce a oltrepassare queste regole in maniera intelligente, contribuendo all’evoluzione del mezzo, in positivo, arricchendone sempre di più il valore.

Scrivi un romanzo? Bisogna attenersi a certe regole. Vuoi dipingere? Ancora altre regole. Un fumetto? Ci siamo capiti. Chiariamo: per regole intendiamo dei cardini fondamentali, imprescindibili, la teoria per capire le basi. Un ‘Cinema for dummies’.

Nel 90% dei casi, però, quando si cerca di portare un videogames al cinema, l’intero impianto cinematografico muore per fare spazio alle regole videoludiche, che male si adattano al grande schermo. Per natura e per la buona riuscita del progetto, dovrebbe essere il contrario: il prodotto videoludico dovrà piegarsi alle regole cinematografiche. L’arte che ospita l’opera è il cinema, non una consolle.

ridble-doom-movieDiversi sono gli esempi sullo schermo. Nel 2005 è uscito Doom, con Karl Urban, The Rock e Rosamunde Pike. Non è neanche male per i primi minuti, ma cade sempre più in basso quarto d’ora dopo quarto d’ora fino a far diventare il film, negli ultimi minuti, uno sparatutto in prima persona, con l’indicatore della salute, l’arma da fuoco in basso a destra, la telecamera che si muove in tutti i cunicoli e lo spettatore che essenzialmente non fa altro che guardare una sequenza di shooting senza premere alcun tasto. Un po’ come la malsana voglia di vedere gente su YouTube giocare ai videogames.

Altro esempio/scempio è Silent Hill: Revelation. Soliti problemi: il film vuole essere fin troppo simile al videogioco, dimenticandosi assolutamente della trama. Una narrazione che procede per situazioni, senza riuscire a collegarle logicamente. Un viaggio in compartimenti stagni: entri in uno, risoluzione, esci. Nuova situazione, risoluzione, esci. E via di questo passo, esattamente come nella controparte videoludica, ma senza emozione o pathos.

Paradossalmente, recenti film come Mad Max: Fury Road sono stati definiti indecenti, arrivando a dire “sembra un videogioco”. Alla base del videogioco c’è l’interazione utente – gaming, e dov’è in Max? Non c’è.

La fedeltà

Con l’affermazione dei cinecomics nel panorama cinematografico, il problema della fedeltà è diventato ancor più subdolo. Il film tratto da un videogames deve essere fedele alla fonte originale. E se dicessi che, come puntellato prima, la reinterpretazione nel passaggio tra fonte esterna e cinema è necessaria e quindi, la fedeltà è un falso problema?

cinegames

Dopo anni passati a vedere, masticare e scrivere di film, sono riuscito a trovare solo due film tratti da un videogames che hanno l’onore di essere veramente consigliati e visti: Silent Hill e Resident Evil.

Se il primo ha mediamente messo d’accordo tutti, proprio perché prende il materiale di partenza, lo decostruisce per ricostruirlo attorno ad una cinepresa, il secondo vive dell’infamia dei diretti sequel.  A partire da Resident Evil – Apocalypse tutto il buon lavoro fatto fino allora si perde in un mare di banalità e fan service (e quindi, fedeltà) ai videogiocatori, rovinando un incipit interessante. Se siete fan della saga di Capcom, almeno fino ad Apocalypse il divertimento è assicurato, ma dal Extincion in poi è veramente il nulla.

Questione Uwe Boll

C’è un antipatico regista tedesco, odiato da tutti, che realizza ogni anno almeno uno o due film tratti da videogame veramente inguardabili: Uwe Boll.

Le vittime? Molteplici: Alone in The Dark, Postal, House of the Dead, Far Cry, BloodRayne e In the name of the King. Di questi ultimi due, contate anche due rispettivi sequel per titolo. Dite la verità, di Alone in the Dark e Far Cry non credevate esistessero dei film e, purtroppo, è tutto vero, esistono e sono orrendi.

Ma di chi è la colpa? Di Uwe Boll? Tecnicamente è un vero incapace, però ha la spocchia di voler continuare ad allungare la sua filmografia, nonostante gli riesca un film su dieci. Ma con il tempo, oltre a prenderlo in simpatia, dopo la pubblicazione di un video in cui insulta il popolo di internet accusandolo di essere monopolizzato da Avengers e compagnia bella, trovi divertente confrontare tutti i voti dei suoi film che non riescono nemmeno ad arrivare ad un misero 4. Un’intervista che rilasciò molti anni fa, oggi può essere considerata illuminante: “non sono io che faccio film brutti, ma sono i videogiochi che hanno delle trame schifose”.

Ecco che ritorniamo al concetto della fedeltà, della reinterpretazione della fonte e delle regole con cui si affrontano i due diversi media. Nonostante l’oggettiva bruttezza dei film e l’incapacità del regista, c’è anche un fondo di verità a supporto di quanto detto fino ad ora.

Il cinema nel videogioco

E se invece tentassimo una strada opposta, dove il cinema si modella al videogioco, cosa avremmo? Paradossalmente i risultati su questo fronte sono notevolmente migliori e a giovarne è stata proprio l’industria videoludica.

Nel 2001 è uscito il glorioso Max Payne, cui i punti forti erano proprio le derivazioni cinematografiche: lo sceneggiatore Sam Lake, oltre a scrivere una storia thriller, sfociando nel noir, assolutamente brillante, ha prestato anche il viso al personaggio.max payne Questa strada, in perfetto mix tra cinema e videogioco, prosegue con Alan Wake, sempre sviluppato dalla Remedy, dove la trama era un chiaro omaggio (o plagio secondo alcuni) alla serie tv Twin Peaks. Anche qui, l’attore Ikka Villi presta il suo viso al personaggio di Alan Wake.

È prossima l’uscita, sempre targata Remedy, di Quantum Break dove si cerca il colpaccio chiamando attori come Shawn Ashmore (Uomo ghiaccio nella saga X-Men), Dominic Monaghan (Lost, Il signore degli anelli), Aidan Gillen (Il trono di Spade) e Lance Reddick (Fringe, John Wick) a modellare i visi di tanti altri rispettivi protagonisti del gioco.

Senza dubbio, i casi migliori sono prodotti come The Last of Us (nel video qui sotto) o Mortal Kombat X (https://www.youtube.com/watch?v=uhWo12Xam0E), in cui una massiccia presenza di attori si è dedicata non solo a prestare il proprio viso, ma a costruire intere sequenze di movimento dei protagonisti del gioco.

Un titolo che rappresenta un’ulteriore evoluzione di questa tecnica è Beyond – Two Souls (https://www.youtube.com/watch?v=5DwHjNenAmw) Sulla copertina possiamo leggere nomi importanti come quelli di Ellen Page o di Willem Dafoe. Entrambi recitano esattamente come al cinema, ma stavolta sono al servizio di un videogioco.

Tutti segnali di un equilibrio che sembra avere delle potenzialità, ma che ci allontana dal tema principale, ovvero, la difficile realizzazione di un film tratto da un videogioco.

Il futuro

L’idea di realizzare questa analisi è nata in seguito all’annuncio di due interessanti titoli, potenzialmente validi, in uscita rispettivamente in estate e inverno 2016: WarCraft – L’inizio e Assassin’s Creed.

Duncan Jones, figlio del compianto Duca Bianco David Bowie, ha dimostrato talento e raffinatezza prima in Moon, poi in Source Code. Nel 2013 gli è stato affidato il compito di dirigere WarCraft. Dopo tre anni di lavorazione e un primo trailer che sembra far sperare bene, l’intero progetto comincia a vivere di un’aura di interesse.

Stessa cosa per Assassin’s Creed. Ogni giorno che passa si aggiungono al progetto nomi sempre più interessanti. C’è da chiedersi perché attori del calibro di Michael Fassbender (addirittura protagonista), Marion Cotillard e Jeremy Irons siano entrati nel progetto. Dalle prime immagini e dalle dichiarazioni del regista sembra esserci l’intenzione di affrontare il film con un piglio più storico che fantascientifico. Fare della sobrietà e non dell’eccesso, il tratto distintivo del film, concentrandosi più sulle azioni in stunt e usando meno computer grafica possibile, sembra essere l’imperativo.

Ma i videogiochi sono una forma d’Arte?

Piccolo off-topic che in qualche modo si ricollega a quanto detto fino ad ora, e così cogliamo due piccioni con una fava, dato che si tratta di un tema su cui si parla molto nel web. Da una domanda così docile, semplice e innocente, si scatenano tifoserie pronte ad una guerra civile al fine di far prevalere la propria opinione.

Certo, il cinema come arte si è imposto nel corso degli anni. Difficilmente un’ “arte” nasce come tale. Se nel cinema la consacrazione è arrivata dopo anni di sperimentazione e di lavoro intenso da parte degli ‘addetti ai lavori’, questo non toglie che anche nell’industria del videogioco, specialmente negli ultimi anni, i lavori di produzione e rilascio di un prodotto siano simili, se non anche più lunghi di quelli del cinema. I profitti aumentano anno dopo anno, si passa dall’annuncio al prodotto nel giro di due o tre anni. C’è chi lavora e chi guarda, chi lavora e chi gioca.

shadow
Shadow of the Colossus

Se consideriamo l’arte come una manifestazione artistica umana, allora i videogiochi non sono lontani da questa realtà. Come nell’industria cinematografia, ci sono autori dietro ad alcuni  prodotti di cui se ne può riconoscere il segno. Kojima per la saga di Metal Gear Solid potrebbe esserne un esempio, ma anche un’intera software house come il Team Ico, che ha portato al panorama videoludico prodotti come ICO o ancor più importante, Shadow of Colossus.

Esattamente prendendo in considerazione questo ultimo titolo, ci sovviene più facile e semplice parlare di ‘capolavoro’ del genere e quindi, anche, di arte.

Il cinema, quello bello, quello che porta nell’Olimpo, ci mostra come si possa fare un film per parlare di una cosa solo per poi parlare veramente d’altro. Interstellar sfrutta l’avventura spaziale per parlare di tantissimi altri temi, amore compreso.

Shadow of Colossus segue esattamente queste regole: da una trama banale si finisce per cadere nell’oblio, colosso dopo colosso, e alla fine ci si rende conto di essere stati partecipi (e responsabili, dato che abbiamo premuto noi i tasti) di uno scempio, un omicidio che non credevamo di credere. Da un semplice “salva la principessa e uccidi i colossi” si arriva altrove, in un viaggio straziante e sanguinolento. Per evitare spoiler non si può entrare nel dettaglio, ma chi l’ha giocato e finito, capirà le parole scritte sopra.

In conclusione, se ancora l’ambito di azione non riesce a definire i videogiochi come arte, la voglia di raccontare una storia a diversi strati narrativi facendo smuovere anche la più piccola emozione, potrebbe essere un primo passo per determinare (alcuni) videogiochi come arte.

Vedo film ancor prima di saper scrivere e parlare. Dal 2012 scrivo di cinema per diversi siti web. Studente di Arti e scienze dello spettacolo alla Sapienza. Maestro Jedi nel tempo libero.

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