L’intellettuale migrante armeno emerge dalla diaspora, seguita al genocidio del 1915, ed è obbligato da quella contingenza ad un’impresa epica: farsi carico di salvare e traghettare ciò che rimaneva del patrimonio culturale e della tradizione millenaria armena. Impresa condotta assieme agli uomini di fede sopravvissuti e alle donne, le quali hanno subito un differente destino rispetto agli uomini che venivano uccisi, salvando se stesse, i propri figli e la propria cultura.
Quella sull’Armenia è una pagina della storia sulla quale l’intellighenzia politica europea dovrebbe soffermarsi a riflettere. In particolare, l’attenzione dovrebbe tornare su quelle scelte che hanno caratterizzato la costituente comunitaria armena, ragione della loro stessa esistenza: l’adozione del Cristianesimo come religione di Stato e l’elaborazione di un proprio alfabeto. La religione fu fonte di ispirazione, la scrittura strumento di diffusione. Scelte che, lungo il corso dei secoli, divennero componente unificante e identitaria di un popolo sempre sul punto di essere disperso.
Intervista all’Ambasciatore della Repubblica d’Armenia in Italia, S.E. Sargis Ghazaryan
Sargis Ghazaryan, Ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Repubblica di Armenia in Italia, è nato il 19 luglio 1978 nella città di Vanadzor. Fin da ragazzo ha studiato in Italia, prima al Collegio Armeno di Venezia e poi all'Università di Gorizia, dove si è laureato al Corso di Scienze Internazionali e diplomatiche. Da maggio 2013 rappresenta Yerevan nel nostro paese e 365 ha avuto il piacere d'intervistarlo per quanto riguarda temi caldi come il ruolo dell'intellettuale migrante, armeno e non solo, e il suo rapporto con il paese ospitante. Inevitabile il confronto sul tema del Genocidio e sulla più recente attualità politica in Europa.
In verità il Genocidio del popolo armeno del 1915, che noi commemoriamo ogni 24 aprile, è il completamento di un'azione genocidaria che iniziò alla fine dell'800 con i massacri Hamidiani e continuò con le terribili azioni di pulizia etnica nella città di Adana del 1909. Già nella prima fase, l'intellighenzia armena era stata assottigliata sia in termini quantitativi che qualitativi. Si calcola che, ad operazione conclusa, circa il 70% delle menti armene pensanti sia stata annientata. La cultura armena si è salvata per mano di un piccolo gruppo di intellettuali che si trovavano nell'Armenia Caucasica e in Europa. Negli anni a venire, come ogni armeno nel mondo, anche l'élite culturale del popolo ha dovuto combattere i traumi che hanno avuto effetti terribili sia sulle vittime che sui sopravvissuti al Medz Yeghern, il Grande Male. La ricostruzione della vita interiore di poeti, scrittori e pittori sarà un'opera lunghissima e talvolta impossibile. Dopo il Genocidio, la Seconda Guerra Mondiale fu un colpo mortale per le conseguenti azioni staliniane, questa volta verso l'intellighenzia dell'Armenia Sovietica. Il popolo armeno ha potuto sperimentare una sorta di “normalità” in ambito culturale solo dopo gli anni '60 del secolo passato.
La migrazione intellettuale armena, durante e a seguito del genocidio, si è sparsa in tutto il mondo: qual è l’apporto culturale degli intellettuali armeni negli assetti internazionali?
L'intellettuale e l'artista armeno di prima e seconda generazione dopo il Genocidio, ha iniziato a dare subito il proprio apporto alla cultura dei paesi ospitanti. Basti pensare al romanziere William Saroyan e al pittore Arshile Gorky negli Usa, oppure a Charles Aznavour in Francia per citarne alcuni. In molti casi, gli intellettuali armeni sono riusciti a interpretare il sentimento comune dei paesi d'integrazione tanto quanto gli artisti autoctoni. Oltre a questo, gli intellettuali armeni nel mondo sono riusciti anche a mantener viva la propria “armenità”, come le opere d’arte dei 18 artisti armeni della diaspora al Padiglione Nazionale dell’Armenia alla Biennale di Venezia hanno ben dimostrato quest’anno, vincendo il Leone d’Oro.
Quale ruolo svolgono gli intellettuali di origine armena nelle relazioni culturali che l’Armenia intrattiene nei nuovi assetti internazionali e quali ricadute in termini economici e culturali ciò apporta al suo paese?
L'intellettuale armeno è stato sempre un ponte fra la cultura della propria identità e quello del paese ospitante. Tanti di loro sono nati e cresciuti senza avere visto la Repubblica d’Armenia, indipendente dal 1991, almeno durante la parte consistente della propria vita. L'educazione all’identità ricevuta dalla famiglia d'origine, senza scivoloni nel nazionalismo, ha dato una marcia in più a queste menti sensibili che più volte sono riusciti ad aiutare anche i nuovi concittadini nelle loro percezione e accettazione dell’Altro.
Le massicce migrazioni intellettuali sono ormai un dato caratterizzante del XX e XXI secolo. Gli intellettuali di origine armena hanno stabilito e intrattengono relazioni in tutto il mondo e in particolare con l’Europa occidentale e con l’Italia: quale è il valore aggiunto apportato nelle culture con le quali si sono rapportati e si confrontano?
Gli intellettuali armeni di oggi sono persone molto integrate nella propria società di accoglienza, alla quale hanno sempre contribuito in termini di sviluppo culturale ed economico. In Italia esiste una lunga storia di relazioni bilaterali grazie alla presenza di alcune istituzioni culturali e religiose, capeggiate dalla Congregazione Armena Mechitarista di Venezia, che hanno sicuramente facilitato questo processo. Dalla metà dell'800 la cultura e la storia risorgimentale d'Italia erano già state tradotte in armeno e viceversa: uno dei volumi di traduzione più interessanti della storia armena in lingua italiana porta addirittura la firma di Niccolò Tommaseo.
Quale ruolo deve assumere l’intellettuale nel breve periodo per evitare il concretizzarsi di scenari d’intolleranza e dello scatenarsi di violenze prevedibili?
L'intellettuale è la coscienza pulita di ogni nazione. L'intellettuale armeno invece, dopo avere vissuto, o direttamente o attraverso la sua storia famigliare, una tragedia terribile come quella del Genocidio, è il soldato di una battaglia che va assolutamente vinta. La responsabilità, come discendenti di sopravvissuti e testimoni di questo e di altri crimini contro l'umanità, è quella di favorire la presa di coscienza dei fatti storici, soprattutto da parte delle nuove generazioni, in quanto unica garanzia di pace perché, il Secolo Breve lo ha dimostrato, l'oblio dei crimini ne genera altri. A Obersalzberg, il 22 agosto del 1939, in vista dell'invasione della Polonia, Adolf Hitler incitava i suoi generali a essere duri e spietati e, concludendo, aggiungeva: "Chi parla ancora oggi dell'annientamento degli Armeni?". Ecco perché l’intellettuale armeno non si stanca mai di perpetuare la testimonianza attraverso la conoscenza dell’altro che è, e sarà sempre, garanzia di Memoria degli eventi accaduti. Ed è e sarà sempre garanzia che i nostri morti, i nostri sopravvissuti e il nostro dolore non scivolino inesorabilmente e miseramente nell'oblio, creando un terreno fertile per nuovi crimini.
Secondo lei i media internazionali sono sufficientemente consapevoli delle nuove dinamiche migratorie che si stanno profilando? E il personale politico responsabile della gestione delle pubbliche istituzioni? Quale ruolo assegnare alle persone di cultura e gli intellettuali per accrescerne la consapevolezza?
Data la situazione odierna generale, la percezione dei media internazionali sulle dinamiche migratorie non mi pare sempre sufficientemente consapevole. Penso che questo fenomeno non nasca da una mancanza d'interesse ma da una vera e propria impreparazione davanti a fenomeni molto nuovi ed estremamente complicati. Gli stessi addetti ai lavori non sono sufficientemente preparati ad affrontare le problematiche quotidiane che si presentano con tutto il loro peso, improvvisamente. La parole chiara dell'intellettuale potrebbe fungere da viatico per affrontare le problematicità con una soluzione, senza cadere nella paura del diverso.
In tutta Europa, uno dei temi importanti è il rapporto tra studenti e mercato del lavoro: qual è la situazione in Armenia? Quanto l’Armenia guarda all’Europa per prospettare il futuro alle nuove generazioni?
L'Armenia è un paese con una popolazione molto giovane. L'amore verso lo studio e la buona preparazione è stata sempre prioritaria per il nostro popolo. Era, in fondo, l'unica cosa che non potevano rubarci. Il mio paese ha ottimi rapporti bilaterali sia con il mondo orientale che occidentale. Esistono numerosi progetti europei che da anni realizziamo assieme per dare una preparazione sempre più completa ai nostri giovani, i quali riescono a passare anche un certo periodo di specializzazione e di preparazione in Europa. La nostra apertura e sensibilità verso l’Europa e i suoi valori rappresentano un fenomeno di lunga data. Penso che nella congiuntura internazionale odierna abbiamo da dare e da ricevere molto dall'Europa.
Un anno fa, Yerevan ospitò una conferenza organizzata da Eurashe sulle qualificazioni del Mercato del lavoro. Potrebbe dirci quali furono le conseguenze di quell’evento internazionale?
Nel mese di maggio del 2014, gli specialisti di tanti paesi, da Cipro alla Repubblica Ceca, dalla Latvia al Belgio e all’Olanda, erano riuniti a Yerevan per una due giorni di intenso lavoro. Hanno partecipato molti funzionari di alto livello del Governo armeno. Ci aspettiamo buoni risultati da questo scambio di informazioni e di esperienze che si vedranno, sono sicuro, nei prossimi anni. Oltre ai progetti europei, vorrei sottolineare che esistono e continuano ad aumentare gli accordi di cooperazione tra diverse università armene ed italiane anche per il riconoscimento dei titoli di studio in diversi corsi di laurea.
La sua opinione sugli aspetti geopolitici più controversi, sia per il Nord Europa che per il Sud del Mondo.
L'Armenia si trova in un crocevia di fenomeni e problematiche geopolitiche complicate, assai numerose per essere elencate qui. La destabilizzazione del Medio Oriente, con stragi di Cristiani negli stessi luoghi del genocidio, e la situazione sulle nostre frontiere, non ci danno la possibilità di dormire sonni tranquilli. Come armeni, ci attendiamo una politica un po’ più chiara e incisiva dall'Europa, una politica più coraggiosa ed audace. Il mondo è in attesa di chiarezza e la realpolitik non sempre si è mostrata una soluzione duratura a problemi che si presentano sotto altre forme e che dovrebbero essere affrontati e risolti in modo equo e radicale.
Alcune domande sulla sua cultura di riferimento: scrittori preferiti, registi, filosofi, ecc. Quali relazioni intellettuali intrattiene con l’Europa occidentale e con l’Italia in particolare?
Facendo una selezione, ora leggo le opere di Paul Boghossian, filosofo e professore armeno-statunitense attratto soprattutto dalla filosofia della mente e dall’epistemologia. Uno dei miei registi preferiti è l’armeno-canadese Atom Egoyan, autore del film Ararat, che ha sempre cercato di approfondire la questione dell'identità e delle radici familiari e il tema dell'utilizzo delle tecnologia come strumento per la registrazione e conservazione della memoria. Come scrittore, sto leggendo le opere dell’armeno-statunitense Micheal J. Arlen che ha vinto numerosi premi tra cui lo US National Book Award per il suo Passage to Ararat. L’Italia è un Paese al quale mi sento legato non solo per motivi istituzionali ma anche per la mia cultura personale. Ho avuto la fortuna di fare una buona parte dei miei studi in Italia, prima al collegio armeno Moorat Raphael a Venezia e poi al Corso di Laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche di Gorizia dove ho potuto leggere molto della letteratura italiana e dei filosofi italiani.
Cenni Storici
Il nome originario armeno per la regione era Hayq, divenuto più tardi Hayastan, denominazione attuale del Paese, traducibile come "la terra di Haik". Secondo la tradizione, Haik, progenitore di tutti gli Armeni, era un discendente di Noè. Haik si stabilì ai piedi dell'Ararat, una montagna sacra per gli Armeni, che si erge dal centro dell'Altopiano locale come la sua cima più alta, e tradizionalmente considerata il luogo dove si posò l'Arca di Noè dopo il diluvio universale.
Religione
Prima della loro conversione al cristianesimo, gli Armeni adoravano parecchi dei di origine iranica ed assira, insieme ad alcuni antichi eroi armeni deificati. L’origine della Chiesa Armena risale al periodo dell’evangelizzazione apostolica, anche se non tutti gli storici sono concordi con questa affermazione. L’Armenia era, durante i primi secoli dell’era cristiana, in stretto contatto con l’ovest, da dove la nuova religione penetrò nel paese, mentre ad est subì l’influenza dei siro-cristiani.
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Intervista a Padre Elia Kilaghbian
365 ha raggiunto Padre Elia, superiore della Comunità dei Padri Armeni del Monastero Mechitarista di San Lazzaro che sorge in mezzo alla laguna di Venezia, per approfondire l'intricata situazione religiosa dell'Armenia: una terra in cui il Cristianesimo si è affermato già intorno all'anno 300 d.C. come religione predominante, dando vita ad una Chiesa mai sotto l'egemonia di Roma. Partendo della Diaspora, inoltre, viene affrontata l'importanza che le congregazioni religiose armene hanno assunto in calce ai Paesi che le ospitano, come l'Italia.
Il genocidio ha rappresentato certamente un punto di svolta della storia non solo armena, ma umana. C’è un prima il genocidio e un dopo il genocidio. A proposito della fede, abbiamo perso gran parte della nostra Tradizione popolare per quanto riguarda le usanze e le preghiere. Quest’anno la Chiesa Armena Apostolica ha canonizzato tutti i martiri del 1915 come testimoni, fino all’ultimo respiro, del proprio essere cristiani e armeni. Già questo gesto attesta una comprensione trascendente degli eventi storici. La Chiesa ha condiviso il destino del Popolo, ne ha supportato i dolori e si è posta come primo approdo per i sopravvissuti. A proposito della cultura, la perdita è stata non solo in vite umane ma anche di quasi tutto il patrimonio materiale che il popolo armeno aveva costruito per millenni. Grandi uomini di cultura, poeti, scrittori, intellettuali, vennero trucidati con il genocidio. Alcuni, come il massimo musicologo armeno Gomidas, sono impazziti davanti a tale abisso. Altri ancora hanno saputo ridefinire il proprio ruolo artistico, letterario e sociale al servizio della verità e della memoria. Un impegno che continua ancora oggi.
Anche i mechitaristi parteciparono con i loro martiri e missioni alla grande tragedia del popolo armeno; quale rilievo nel medio/lungo periodo hanno avuto tali eventi nell’aggiornamento culturale degli armeni?
C’è da chiarire da subito che dopo il Genocidio e dopo il breve periodo dell’indipendenza, (1918-20) l'Armenia caucasica si ritrovò nel mondo sovietico con tutta la sua macchina politico-culturale, divisa dal resto degli armeni della diaspora che dovevano “sopravvivere” appoggiati solo sulle proprie esigue forze; perciò abbiamo avuto due modalità differenti di percorso culturale: quella sovietica e quella diasporica; entrambe però espressioni della stessa realtà nazionale. Venendo a noi, l’impegno missionario è uno dei voti monastici dell’Ordine Mechitarista. Per questo motivo nel corso dei secoli tante scuole sono state aperte dai nostri monaci in quelle città dove risiedono grandi comunità armene. In passato i nostri predecessori, a partire dal fondatore Mechitar, hanno saputo resuscitare lo spirito culturale e religioso del Popolo armeno. Dopo il genocidio come primo aiuto abbiamo aperto orfanotrofi in Italia e a Costantinopoli e in un secondo momento scuole in Libano, Siria, Argentina, Stati Uniti, cioè dove erano sparsi gli armeni. Oggi si deve riuscire a preservare quanto fatto, e non nel senso di una realtà museale, ma sempre ricordando che la cultura è viva nella quotidianità della vita di ogni armeno e che dunque ciò che ci viene dal passato va rivissuto e reinterpretato sempre diversamente, ma nella fedeltà alla tradizione.
Quale è la qualità delle relazioni ecumeniche e culturali che la Chiesa Armena intrattiene, in particolare con l’Italia e con l’Europa occidentale, con quella cattolica romana e con le altre confessioni cristiane?
Questo è un punto davvero importante. La Chiesa armena apostolica è probabilmente la Chiesa più vicina, da un punto di vista teologico, alla Chiesa cattolica. La rottura della comunione tra Bisanzio e l'Armenia, tra il V ed il VI secolo, ha avuto naturalmente conseguenze dirette anche con Roma, ma in qualche modo la ferita è stata meno profonda ed il dialogo ecumenico tra il Catholicos ed il Papa può consolidarsi su fondamenta storiche plurisecolari, su un percorso di riavvicinamento che proprio l’Ordine Mechitarista ha sempre sostenuto e portato avanti. In occasione del Giubileo del 2000 il Catholicos Karekin I, Patriarca supremo della Chiesa apostolica, e Papa Giovanni Paolo II hanno sottoscritto una dichiarazione congiunta di piena conformità dottrinale della teologia delle due Chiese. Anche la ricorrenza del centenario del genocidio ha aiutato molto a rafforzare questi legami ecumenici e fraterni: nell’ultimo incontro di preghiera ecumenica a Etchmiadzin in Armenia, dove erano presenti tutte le Chiese, il cerimoniere della cattedrale ha messo in risalto il fatto che esse si erano mostrate solidali con il popolo e la Chiesa armena non solo durante i momenti felici e festeggiamenti, ma specialmente durante tutto l’anno del centenario, con incontri ecumenici, liturgici, di preghiera e conferenze.
Quale ruolo svolgono le comunità religiose armene nei nuovi assetti internazionali, in questa fase in cui l’Occidente, e con differenziate dinamiche l’intera umanità, passa dalla società manifatturiera basata sulle relazioni interpersonali alla società postindustriale dalle relazioni virtuali?
La Chiesa rimane il centro del vissuto familiare e sociale del popolo armeno. Assieme alla lingua, la Chiesa ha mantenuto nei secoli viva la cultura armena ed è tuttora la colonna portante delle comunità armene all’estero. Il mondo virtuale sposta il “luogo” dell’incontro, ma anche attraverso le nuove tecnologie la Chiesa si muove come sostegno all’unità dei fedeli e di tutto il popolo.
La nuova migrazione di armeni provenienti dalla Repubblica ex sovietica d’Armenia, e da aree d’influenza russa, ha portato, nel ventennio 1991-2011, a un rafforzamento della presenza armena in Italia: tale cambiamento ha contribuito, e in che misura, a consolidare e a creare nuove relazioni tra Europa occidentale ed il Caucaso?
Gli armeni immigrati in Europa occidentale si sono inseriti sia in comunità storiche più antiche, sia hanno formato nuove comunità. A volte addirittura rinascono organizzazioni sociali armene in città che avevano visto, magari nel Medioevo o in Epoca Moderna, antiche presenze armene. Questi ragazzi e ragazze, mantenendo la cittadinanza armena, ma vivendo in Europa, potranno influenzare fortemente il continuo avvicinamento tra i nostri popoli. Dico continuo perché, come dimostra la nostra presenza a Venezia e le tante chiese più antiche sparse per l’Italia e l’Europa, questo dialogo non è qualcosa di inedito. Questo movimento è rafforzato enormemente dalla Repubblica d’Armenia, che si trova politicamente vicina al mondo istituzionale russo, ma nello stesso tempo ha il cuore verso l’Occidente, come naturale e storico anelito nazionale. Queste relazioni si sono intensificate precipuamente a partire dalle ambasciate e consolati armeni che, assieme alle organizzazioni locali, contribuiscono nel campo politico, accademico e sociale a rafforzare questi legami.
L’eco del saluto coraggioso del Papa all’inizio della celebrazione per i fedeli di rito armeno è arrivato anche in laguna, oltre all’emozione quale reazione e quali speranze ha suscitato anche nell’Isola di San Lazzaro degli Armeni?
Il Santo Padre si pone come uomo del dialogo tra le Chiese, non rivendicando pretese assolutiste, ma nella piena comprensione delle rispettive identità nazionali e locali. Il suo pieno riconoscimento del genocidio è altissimo tributo alla giustizia e dunque alla verità, presupposto di ogni pace sincera. Dunque il messaggio di Papa Francesco non va letto come un atto d’accusa, ma come un tentativo e un invito alla concordia e all’amore. In quella celebrazione del 12 Aprile, Papa Francesco fece un grandissimo gesto di riconoscimento della grande Tradizione spirituale della Chiesa Armena, elevando San Gregorio di Narek, massimo autore spirituale della tradizione armena, a Dottore della Chiesa Universale, titolo riservato a sole 36 personalità in due millenni di storia della Chiesa. Questo è, a mio parere, il più lampante atto di coraggio del Pontefice, col quale egli ha sollevato dalle ceneri della storia una figura nazionale ponendolo ad emblema spirituale per tutto il mondo cristiano.
Quale è il valore aggiunto, secondo lei, apportato dagli intellettuali armeni nella società e nelle culture con le quali sono diventati parte attiva e si confrontano?
Gli intellettuali hanno saputo mantenere viva la propria identità armena, personale e collettiva, come punti di riferimento per le comunità della diaspora, ma allo stesso tempo sono stati in grado di recepire la dimensione culturale e sociale dei paesi ospitanti, fornendo così nuove letture e interpretazioni della storia letteraria e artistica.
Infine alcune informazioni sui suoi riferimenti culturali: scrittori preferiti, letture, filosofi, registi, etc. e sulla qualità delle relazioni intellettuali che intrattiene con l’Italia e con Venezia in particolare.
Non amo molto parlare di me stesso. Posso però dire questo: cerco di incontrare le persone e le comunità, e questo vale naturalmente anche per gli autori della grande tradizione del pensiero cristiano e per gli artisti che hanno contribuito ad arricchire la riflessione sulla realtà dell’uomo e il mistero di Dio, per comprenderle come fossero parte di me stesso, con disposizione di rispetto e di apertura per quanto possibile evangelica. Questa è la mia cultura di armeno e di monaco.
L'indipendenza
Il 21 settembre del 1991, con un referendum popolare, l'Armenia si è proclamata uno stato indipendente. Il 2016 è, quindi, l’anno nel quale ricorrono i 25 anni da questo importante accadimento.
Nell'ottobre del 1991 è stato eletto il primo presidente della Terza Repubblica d’Armenia. Dopo 600 anni di domini e sottomissioni, la Prima Repubblica Democratica Armena durò solo dal 1918 al 1920, mentre la Seconda Repubblica fu costituita nel 1936 come Repubblica Sovietica Socialista Armena, all’interno dei confini dell’URSS.
A seguito dell'approvazione del referendum costituzionale del 2015, sono state introdotte alcune modifiche alla Costituzione: dal 2018 l'ordinamento politico passerà dal sistema semipresidenziale al sistema parlamentare, con elezione parlamentare del Presidente della Repubblica, il cui mandato sarà prolungato da 5 a 7 anni.
Vita difficile e sempre sul punto di essere dispersa quella degli Armeni. Ed anche in questo breve periodo della vita repubblicana ha dovuto, fra l’altro, sostenere dal 1992 al 1994, il conflitto armato tra il Nagorno Karabakh, piccola enclave a maggioranza etnica armena, e la Repubblica dell'Azerbaigian. Si sono appena concluse le celebrazioni del 2015 per ricordare i 100 anni dal Genocidio e si stanno, quindi, avviando i festeggiamenti per ricordare invece la proclamazione della Repubblica. Due date simbolo che invitano a riflettere, senza mai dimenticare da dove veniamo per non perdersi nel lungo percorso verso il futuro. Così, abbiamo deciso di aprire 365 a questo futuro, collegandoci a due riccorrenze simboliche non solo per l’Armenia ma per tutto il XX secolo.
Il Genocidio
Il genocidio armeno, perpetrato dall’Impero Ottomano tra il 1915 e il 1916, causò circa un milione e mezzo di morti. Il popolo armeno si riferisce alla tragedia utilizzando l'espressione “Medz Yeghern”, che sta a significare “grande crimine”. In quello stesso periodo eliminazioni e deportazioni furono portate avanti anche contro altre etnie, come gli assiri e i greci. Contro il popolo armeno, si era già scagliato qualche anno prima - tra il 1894 e il 1896 - il sultano ottomano Abdul-Hamid II. A pochi anni dallo scoppio della prima guerra mondiale, invece, con l’affermazione del governo dei Giovani Turchi, a causa della paura che gli armeni potessero allearsi coi russi, di cui erano nemici, furono sterminate circa 30mila persone nella regione della Cilicia.
Nel 1915 il governo dei Giovani Turchi compì arresti e deportazioni in massa: nella notte tra il 23 e il 24 aprile di quell’anno vennero eseguiti i primi arresti tra l'élite armena di Costantinopoli. In un solo mese, più di mille intellettuali armeni, tra cui giornalisti, scrittori, poeti e perfino delegati al parlamento furono deportati verso l'interno dell'Anatolia o massacrati lungo la strada. Friedrich Bronsart von Schellendorf, il Maggiore Generale dell'Impero Ottomano, venne dipinto come l'iniziatore del regime delle deportazioni armene. Centinaia di migliaia di persone morirono per fame, malattia o sfinimento nelle marce della morte. Altri, invece, furono massacrati dalla milizia curda o dall’esercito curdo. Queste marce, organizzate con la supervisione di ufficiali dell'esercito tedesco in collegamento con l'esercito turco, secondo le alleanze ancora valide tra Germania e Impero Ottomano, si possono considerare come prova generale ante litteram delle marce della morte perpetrate dai nazisti ai danni dei deportati nei propri lager durante la seconda guerra mondiale. Si può già parlare della tragedia armena come il primo genocidio moderno attuato con "scientifica" programmazione delle esecuzioni. Il genocidio viene commemorato dagli armeni ogni 24 aprile.
Dell’intellettuale migrante ancora si parla poco. È una figura che emerge dai movimenti migratori, a seguito delle tragedie che coinvolsero quasi tutti i continenti e sconvolsero gran parte dell’umanità. I rifugiati politici, con il susseguirsi di guerre, rivoluzioni e rivendicazioni territoriali, deportazioni, esodi, diaspore, pulizie etniche, sono costretti all’esilio per divergenze di opinioni, ma si esaltano come personalità in grado di apportare il loro contributo di novità in quelle situazioni nelle quali si trovano ad operare.
UOMINI & IDEE
La rassegna di ritratti di intellettuali, imprenditori e professionisti moderni e contemporanei portati ad esempio in Uomini e Idee vuole in qualche maniera legare l’opera all’uomo e alla sua immagine. Nello specifico rappresentano il corpus del migrante intellettuale armeno e sono il filo che unisce persone, idee e territori; vettori in transito da un luogo di partenza ad uno di arrivo.
Ognuno di loro porta un virtuale bagaglio: le proprie idee. Un bagaglio unico, impalpabile stipato di ragioni, di sogni e di speranze, che sono da sempre il motore e l’energia che trasformano il mondo. Il contenuto di questi bagagli ne contamina altri, creando così sufficiente energia da imprimere degli scarti che mutano la direzione del percorso e producono effetti collaterali, atti a contribuire a cambiare il percorso politico ed economico della comunità, del paese o a volte dell’intera umanità. Riflettere sul concetto di unicità è indispensabile nell’intraprendere nuove relazioni: ciò circoscrive gli specifici interessi, obiettivi e ruoli fondamentali per un diverso possibile percorso comunitario, con progetti condivisi nei quali identificarsi, con il fine di misurarsi con il presente e affrontare gli eventi e le sfide nel mondo contemporaneo: risorse, ambiente, migrazioni, verso le quali indirizzarsi per configurare il nostro destino comune.
Gli Armeni alla Biennale di Venezia 2015
L’Isola di San Lazzaro degli Armeni, che ospita il Monastero Mekhitarista, è un importante centro di studio della cultura armena, un vero e proprio luogo identitario della memoria, che ha rischiato di essere cancellata con il genocidio e la diaspora.
Su questa Isola, nel cuore della laguna veneziana, è sorto l’Incanto dell’Armenia, il padiglione nazionale della Repubblica all’interno della 56ª Esposizione Internazionale d’Arte. Uno spazio ideale per ospitare il padiglione: autonomo ma dipendente dal mondo. Una piccola Armenia, specchio di un popolo e della diaspora.
Al monastero dei Padri Armeni, circondato da un grande giardino, è annessa la chiesa di San Lazzaro, di origine gotica, che fu ricostruita nel XIX secolo. Inizialmente, l'isola era adibita a lebbrosario (motivo per cui venne poi dedicata a San Lazzaro). Cessata questa destinazione, rimase deserta fino al 1717, quando venne assegnata a un nobile monaco armeno di Sebaste, Manug di Pietro, detto Mechitar, il consolatore, fuggito dalla Modone invasa dai Turchi, dove aveva fondato un monastero. Riedificata la chiesa e il convento, Mechitar si adoperò per diffondere il sapere in Oriente, anche con l'aiuto di giovani connazionali da lui accolti e istruiti.
Opere scientifiche, letterarie e religiose venivano tradotte in armeno da diverse lingue: dopo la sua morte, venne fondata una tipografia poliglotta (1786) che poté efficacemente sviluppare il progetto di Mechitar. Nacque così un'istituzione che si chiamò dei Padri Armeni Mechitaristi, che col tempo si arricchì dai lasciti di facoltosi armeni. Il monastero sfuggì alle soppressioni napoleoniche in quanto la Congregazione dei Padri Armeni fu considerata un'accademia letteraria. Il convento ospita una pinacoteca, un museo e una stamperia di fine XVIII secolo in cui sono conservati reperti archeologici egiziani, orientali e romani, oltre a una ricca collezione di manoscritti armeni. Nella biblioteca, invece, sono custodite molte opere d'arte di Palma il Giovane e Ricci, oltre a un bell'affresco del Tiepolo. Ancora oggi attorno alla chiesetta, ricostruita nel 1883 dopo un incendio, e al piccolo chiostro ferve un luogo di preghiera e di studio.
La 56esima Esposizione Internazionale d’Arte, diretta da Okwui Enwezor e organizzata dalla Biennale di Venezia presieduta da Paolo Baratta, ha consegnato il Leone d’Oro al Padiglione Nazionale della Repubblica d’Armenia “per aver creato un padiglione basato su un popolo in diaspora, dove ogni artista si confronta non solo con la sua località specifica, ma anche con il suo retaggio culturale. Il padiglione prende la forma di un palinsesto, con elementi contemporanei inseriti in un sito del patrimonio storico. Nell’anno che segna un’importante pietra miliare per il popolo armeno, questo padiglione rappresenta la tenacia della confluenza e degli scambi transculturali”. Curatrice del padiglione è stata Adelina Cüberyan von Fürstenberg.